Troppi pazienti senza il Covid morti perché non sono stati curati. Bisogna rivedere il sistema delle liste d’attesa al più presto Un anno di Covid- 19 ci ha quasi abituato al dramma di una pandemia che a oggi contiamo in Italia 2,4 milioni di casi e oltre 80.000 vittime.
E’ passato un anno dalla segnalazione (1 dicembre 2019) dell’uomo di Wuhan che mostrava sintomi di una strana polmonite apparsa poi, sulla base di un’analisi retrospettiva, in un articolo del Lancet del 24 gennaio e descritta come una malattia senza identità e senza nome. In quest’anno ci siano anche abituati ai numeri che ogni giorno sentiamo aumentare. Nella realtà i numeri sono ben peggiori: a quelli noti, si devono aggiungere quelli delle vittime “indirette”, ossia di pazienti non affetti da Covid, ma che a causa della pandemia non hanno potuto essere curati con il conseguente decesso o peggioramento delle condizioni di salute. La pandemia ha infatti prodotto diverse conseguenze sulla salute della popolazione e nella gestione della loro tenuta in carico da parte del sistema sanitario, causando problemi legati alla consueta programmazione e organizzazione delle attività ospedaliere, con forti ripercussioni sia nella continuità delle cure dei pazienti già in carico al Servizio sanitario nazionale che nelle attività previste in ambito preventivo e diagnostico. Purtroppo non esistono dati ufficiali in tal senso; con l’obiettivo di misurare le mancate erogazioni di servizi e prestazioni sanitarie caratterizzanti sia il periodo del primo lockdown che la fase in corso, con il timore che questa situazione possa continuare a permanere e tramutarsi in un lungo periodo di riassestamento con conseguente allungamento delle liste d’attesa e carenza delle attività essenziali – Fondazione The Bridge ha svolto una prima indagine lampo, propedeutica a una più ampia, in partenza in questi giorni – con l’obiettivo di mostrare una panoramica e analizzare lo stato di emergenza che sta colpendo l’Italia intera. L’indagine campione è stata svolta negli ultimi due mesi del 2020 e selezionando cinque aree patologiche (cardio-vascolare, diabete, fragilità mentali, oncologia, e reumatologia); per ovviare all’impossibilità di disporre di dati pubblici, l’analisi è stata condotta grazie al coinvolgimento di associazioni di pazienti e società scientifiche.
I risultati hanno portando alla luce diverse problematiche su tutto il territorio, seppur con differenze tra regioni e prestazioni sanitarie. E’ emerso che i problemi più impattanti nella prima fase pandemica hanno riguardato la diagnostica preventiva (difficoltà per il 78 per cento degli intervistati), la sospensione o il posticipo degli interventi chirurgici non programmati o non urgenti (67per cento dei casi) e la regolarità delle visite ambulatoriali (60per cento dei casi). Meno preoccupazione invece ha destato l’accesso alle cure/terapie (il 58 per cento degli intervistati non ha avuto problemi), la gestione del recepimento delle ricette mediche che, dopo un primo periodo dovuto a una mancanza di organizzazione, è stata risolta grazie alla sperimentazione della dematerializzazione delle ricette, nelle regioni in cui non esisteva ancora, e grazie alla collaborazione delle farmacie di comunità. Anche per quanto riguarda la fornitura dei farmaci, attraverso la sperimentazione della ricetta elettronica laddove mancava, il sostegno delle farmacie e delle associazioni di pazienti che spesso hanno svolto servizio di consegna farmaci a domicilio, non sembrano essere esistite particolari difficoltà. La buona notizia è che mettendo a confronto la prima e la seconda fase pandemica, sembra che nel complesso sia stata acquisita una maggiore capacità nel fronteggiare le difficoltà legate alla gestione pandemica grazie alle conoscenze acquisite, alle esperienze fatte, alla possibilità di previsione. Un po’ come per l’esperienza scolastica: tutti richiedono il rientro nelle classi, ma sembra che questo semestre di Dad stia andando un po’ meglio del primo. La cattiva notizia riguarda, invece, la valutazione che è stata data in termini di ripercussione sulla salute in questi dieci mesi; i risultati della survey indicano in complessivo peggioramento della salute dei pazienti no Covid per il 79 per cento dei casi, in maniera grave per il 39 e con un aumento del tasso di mortalità del 16 per cento. Dati indirettamente confermati dalle rilevazioni Istat che, per il solo periodo gennaio settembre 2020, hanno registrato 528 mila decessi, oltre 42 mila in più rispetto alla media.
Luisa Brogonzoli, Responsabile Centro Studi Fondazione The Bridge
15 gennaio 2021