L’IMMUNOTERAPIA non aumenta il rischio di ammalarsi di Covid e, anzi, sembrerebbe dal virus. A suggerirlo sono due studi italiani, entrambi osservazionali retrospettivi: uno pubblicato su Seminars in Oncology e realizzato su 169 pazienti in cura per melanoma all’Istituto europeo di oncologia di Milano e alla Città della Salute e della Scienza di Torino, l’altro uscito sulle pagine di Therapy Advances in Medical Oncology e condotto su una popolazione di 54 persone affette da un altro tumore della pelle, il carcinoma squamocellulare, seguiti in 5 centri di riferimento nazionali.
Due gruppi, stesse conclusioni.
In particolare tra i 169 pazienti, tutti con melanoma in stadio III e IV, trattati prevalentemente con gli immunoterapici nivolumab, pembrolizumab e ipilimumab tra gennaio e aprile 2020 (cioè nella prima ondata), solo uno è risultato positivo al coronavirus, ed è rimasto asintomatico. “Si tratta – continua Queirolo – di un risultato importante perché dimostra che questi malati non devono rinunciare alla speranza dell’immunoterapia a causa del virus. E che non c’è ragione di sospendere né di rimandare le cure.
Gli esperti parlano di un effetto protettivo dell’immunoterapia nei confronti di Covid anche nel caso di una popolazione di pazienti con carcinoma squamocellulare, un tumore cutaneo molto più raro nella forma localmente avanzata e metastatica rispetto al melanoma, tipico delle persone anziane o anziane ( l’età media del campione in studio era di 80 anni), quindi particolarmente fragili, con patologie multiple e nella maggior parte dei casi anche pesantemente trattati. La ricerca, coordinata dallo Ieo, ha analizzato le informazioni relative a 54 persone che non hanno interrotto l’immunoterapia (nella maggior parte dei casi a base di cemiplimab). “Dell’intero gruppo – riprende l’oncologa – sono risultati positivi al coronavirus solo due pazienti”.
“Alla luce di questi risultati, che sono in linea con quelli di altri studi presentati nel corso di ASCO 2020, benché condotti sempre in velocità – nel corso della seconda ondata pandemica l’approccio è cambiato: noi oncologi abbiamo sollecitato una aderenza più attenta ai trattamenti oncologici, anche ai pazienti ultraottantenni, più a rischio di infezione e di decesso “. Non sospendere la cura e tornare a controllarsi Il messaggio fondamentale è di non sospendere le cure, se non in accordo con il proprio oncologo, arrivi al maggior numero possibile di pazienti. Perché gli effetti negativi della sospensione dei trattamenti oncologici durante la pandemia stanno già emergendo in termini di interventi o di cicli di chemioterapia, e anche nelle di follow-up e nell’adesione ai programmi di screening. “Nella prima metà dello scorso anno – conclude Queirolo – la diagnosi del melanoma, che è il tumore oggi con l’incidenza in maggiore crescita insieme a quella del pancreas, sono diminuite del 30%. Il che significa un aumento del 30% di casi che arriveranno in fase avanzata. Stiamo tornando indietro nel tempo, agli anni ’80. Non dobbiamo permetterlo, e siamo ancora in tempo”.
di Tina Simoniello