Il primario “Pochi letti e noi di nuovo obbligati a scegliere chi curare”

22.03.2021

Intervista a Pierluigi Viale del Sant’Orsola di Bologna «Qualche giorno fa, ci siamo riuniti di buon mattino con i colleghi dell’ospedale. Un chirurgo si chiedeva: ho un solo posto, che faccio, opero un tumore al pancreas o uno al colon? Ecco, anche questo è il Covid. Ci mette di fronte a scelte che non fanno dormire la notte». Pierluigi Viale, direttore dell’unità di malattie infettive del Sant’Orsola di Bologna, parla da una provincia che ha mille ricoverati per il virus. Ma non è la sola con gli ospedali sotto pressione. Le terapie intensive in Italia sono arrivate a 3.448 ricoveri (61 in più ieri), non molto lontano dal record di quattromila di un anno fa. Nei reparti ordinari sono ricoverate 27.484 persone. Secondo Agenas (Agenzia peri servizi sanitari regionali) l’occupazione delle terapie intensive è al 38%, ben al di sopra della soglia critica del 30%. «Da noi la circolazione è furiosa. Chiunque può essere colpito» dice Viale. «In ospedale abbiamo gente di ogni età». Il problema non è solo il virus, ma le altre malattie?
«Sono 360 giorni che ci prendiamo a botte con il virus, e continueremo a farlo fino a quando sarà necessario. Ma la cosa che trovo più angosciante è fermare tante altre attività degli ospedali e mettere in lista d’attesa malattie che il nostro sistema sanitario non avrebbe mai permesso di lasciare indietro. Un malato di tumore non può aspettare. Il Sant’Orsola che chiude il suo centro trapianti, anche se solo per un giorno, per colpa di un focolaio, è come una madre che ripudiai suoi figli. Con 10mila contagi al giorno in Italia le nostre strutture soffrono, ma reggono. Con 25mila al giorno non abbiamo possibilità di farcela a lungo. Sono 40 anni che lavoro per questo sistema sanitario, credendoci fino in fondo. Oggi lo vedo alle corde e ho un po’ paura». Ci sono malati lasciati indietro? «Sono giorni pesantissimi per tutti. Ai colleghi del pronto soccorso arrivano tantissime persone che hanno bisogno di un letto o di cure intensive. Ma saturare troppi posti di terapia intensiva con pazienti Covid vuol dire rallentare tutte le attività chirurgiche e molte attività non chirurgiche. Le emergenze sono sempre garantite: chi ha un infarto o un trauma grave arriva in ambulanza a sirene spiegate e viene assistito. Per gli interventi urgenti troviamo aiuto anche dal privato. Ma ci sono gli altri pazienti da assistere, e per loro diventa difficile trovare collocazione. Mio padre mi diceva che la nostra è una generazione fortunata perché non ha vissuto la guerra. Ora questa è la nostra guerra, e ce la stiamo giocando al meglio delle nostre forze. A farci paura non sono le bombe, ma il timore di non riuscire a garantire il meglio a tutti, che è il principio del nostro sistema sanitario.

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